Riflessioni sul Coronavirus

Il Coronavirus ci ha messo in contatto con la nostra umana fragilità, ci ha costretti a sovvertire gli equilibri e a fare i conti con le nostre paure. Forse per troppo tempo, illusoriamente, abbiamo pensato che le disgrazie capitassero soltanto a pochi sfortunati o a chi se le procurasse da solo. E invece ci rendiamo conto che tutti siamo esposti alla Vita, con le sue gioie immense ed i suoi sconfinati dolori, e che è fondamentale costruire una dimensione esistenziale, più autentica.

In questo momento così difficile e complesso è importante proteggersi attuando comportamenti adeguati, distinguendo tra pensieri coerenti e pensieri che gettano nell’angoscia, e affidandosi ad emozioni che mettono radici nella realtà.
In breve tre punti cardine: vediamoli insieme.

  1. Per prima cosa il coronavirus è un fenomeno collettivo e non personale, che pertanto richiede una risposta responsabile da parte di tutta la popolazione.
    Dal punto di vista del comportamento, aderire alle azioni di prevenzione, quali il distanziamento sociale e la disinfezione delle mani, permette di non cedere alla fobia o, peggio, al senso di inadeguatezza e di colpa.
  2. Il secondo punto consiste nell’esercizio a stare nel “Qui ed Ora”, cioè nel prendere le distanze da pensieri ripetitivi, che magari mettono radici nel proprio passato, e che spingono impulsivamente a correre in avanti, facendo fantasie catastrofiche ad ogni livello: salute, lavoro, economia, … una generalizzata Caporetto!
  3. L’ultimo fattore consiste nel fare riferimento soltanto a notizie e fonti di informazione affidabili, che si basano su dati ufficiali e costantemente aggiornati. Infatti, la ricerca compulsiva di informazioni in internet o sui social, nonostante inizi con l’obiettivo di tranquillizzare, finisce per raggiungere il risultato diametralmente opposto, che è quello di agitare e, come un’onda in piena, di generare angoscia sino ad arrivare al panico.

Fa più danni il coronavirus o la fobia che porta a diffidare di chiunque ci sia o ci passi accanto?

Questa è una domanda che non conoscerà risposta.

La distanza e la recente solitudine dovuta alla separazione da amici e persone care, l’isolamento dall’ambiente di lavoro e dalle proprie passioni, la diffusa ed invisibile minaccia del virus, la paura di contrarre la malattia, la sospetta contaminazione e il fronteggiare una situazione totalmente nuova, per la quale non possediamo uno strumentario o esperienze a cui fare riferimento, hanno avuto un impatto psicologico notevole, non calcolabile, e comportano un dolore psichico che non va né trascurato né sottovalutato.

Le misure adottate amplificano enormemente le nostre paure e le ingigantiscono, dal momento che la relazione e la vicinanza fisica possono rappresentare un pericolo e un’arma a doppio taglio, mentre è la prossimità e le carezze che contengono, tranquillizzano e trasmettono benessere.

Come reagisce la nostra psiche

Stiamo imparando un nuovo alfabeto psicologico, in gran parte sconosciuto. E questo processo richiede tempo. È prevedibile avere sbalzi d’umore, momenti di profondo abbattimento, vissuti di perdita e di rabbia, punte di angoscia o di sfrenato ottimismo, che non devono spaventare, perché sono il modo con cui la psiche reagisce ad una condizione incerta e cerca una nuova cifra esistenziale.

È naturale anche che ritornino in vita fantasmi del passato, che sembravano ormai sepolti. Si possono riacutizzare vissuti simili a quelli sperimentati in altri periodi dell’esistenza, e un disagio indistinto o un malessere generalizzato possono invadere e prendere il sopravvento. Sicuramente qualcosa di importante chiede attenzione e considerazione. Ma per capire cosa ci dice la nostra psiche, dobbiamo prima conoscerla.

La distinzione simbolica delle tre zone psichiche.

La zona della paura è quella in cui si fatica a gestire le proprie emozioni, si cercano affannosamente informazioni e si trova consolazione nel cibo o sui social.

La zona della riflessione è quella in cui si comprende che non si ha alcun controllo sulla situazione e ci si comporta con coscienza e responsabilità, proteggendo se stessi e gli altri.

La zona della resilienza è quella in cui ci si sforza di restare ancorati al presente, si continuano a fare progetti per il futuro, si accettano i cambiamenti, si riconoscono le proprie risorse e si mettono al servizio della situazione. Si coltiva la gioia e si lascia aperta la porta alla speranza.

Proprio l’elaborazione del trauma potrà portare alla scoperta delle risorse personali e alla costruzione di una nuova dimensione esistenziale. Il coronavirus, con la sua drammaticità, contrasta l’incapacità di crescere e spinge fortemente verso la condivisione e l’attivazione del pensiero. Dalla crisi può nascere una visione più definita di sé e del mondo.

Come sono passati questi mesi di lockdown

Il tempo a casa per taluni è stata un’esperienza nuova; ripopolare il nido lasciato vuoto dai molteplici impegni e dalle tante fughe ha messo in stretto contatto con la propria famiglia. La riscoperta delle relazioni importanti, la cura dei figli, il contatto con i genitori, il tempo che scorre talvolta lento talvolta veloce, la riflessione sui valori della Vita, il fuoco delle proprie passioni, quella telefonata che ci sorprende e persino la lista della spesa … possono essere carezze. Ma la quotidianità può essere protettiva e appagante o portare allo scoperto un paradiso amaro, fatto di conflitti ed incomprensioni; il lockdown talvolta ha fatto vivere l’inferno sulla terra, altre volte ha rappresentato l’occasione per conoscersi veramente e per incontrarsi. E così abbiamo scoperto che non è importante dove vai, ma con chi sei!

Più colpite dalla pandemia sono state le fasce deboli: gli anziani, i malati, i bambini. Ragazzi e bambini sono stati improvvisamente privati del loro rapporto con gli insegnanti e con i pari, relazioni di importanza vitale soprattutto per chi non trova nella famiglia e nel rapporto genitoriale un porto sicuro.

Comprendere la paura e l’ansia di questo periodo

Come già detto, è del tutto normale avere paura e questo sentimento potrà guidarci nell’applicare tutte le misure protettive associate alle diverse fasi della pandemia e all’uscita dalla restrizione sociale.

Possiamo rimanere fermi, bloccati e sentirci vittima degli eventi, oppure possiamo sperare nel futuro, usare l’esperienza per diventare più saggi e riprendere il cammino; ci viene richiesta la stessa energia. Si può scegliere.

Comprendiamo che più si cerca di scacciare via l’ansia, di non pensarci, di distrarsi, più aumenta e prende forza, più eleva il suo segnale di allarme per farsi ascoltare.
Una certa dose di ansia è funzionale, è positiva, migliora tutte le prestazioni e protegge attraverso una reazione di allarme. Qualora fosse eccessiva, in parte connessa alle difficoltà della situazione contingente, può evocare aspetti irrisolti dell’esistenza.

Procediamo allora “step by step”, a piccoli passi, proteggendoci, senza sconfinare in profezie catastrofiche e riportando alla memoria tutte le volte che abbiamo superato situazioni critiche e complesse. In sintesi: non “giochiamo” a braccio di ferro con l’ansia, ma consideriamola un’alleata.

Trasformare le situazioni in opportunità

Una riflessione per concludere: quando affrontiamo situazioni che ci sembrano più grandi di noi, quando sentiamo che abbiamo un monte da scalare, allora stiamo crescendo.

Ricordiamoci di fare progetti per il futuro e di non smettere mai di sognare, ricordiamoci di prendere quello che c’è di buono ogni giorno, valorizzando le piccole cose, perché in fondo, non contano tanto il successo e le vittorie quanto la nostra capacità di avere cura e resilienza.

La quarantena ci ha offerto l’opportunità di riflettere sulle nostre relazioni, evidenziando quelle dalle quali è importante allontanarci e quelle che meritano tutta la nostra dedizione, perché non esiste felicità duratura nel successo, nel potere e nei soldi, ma nelle persone che rendono migliore e bella la Vita. Allora, qual è il tuo faro?

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